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Come Darak Shadowblade fu esiliato da Morrowind

Il mio nome è Darak, figlio di Tarak, della casa di Tenkor, ma la gente qui nella Baia Iliaca mi ha soprannominato "Shadowblade", Lama d'Ombra, poiché la mia spada di rado veniva vista prima che colpisse. Col tempo, cominciai ad apprezzare questo nomignolo e lo adottai come mio cognome (una cosa che molti popoli qui usano, invece della propria ascendenza). La mia storia è in realtà triste e dolorosa, e il raccontarla mi riempie il cuore di sconforto ogni volta, ma in questo caso devo farlo, affinché ognuno capisca perché sono diventato ciò che sono.

Ero appena una fanciullo quando entrai in un'organizzazione di assassini di Morrowind, di cui non ho intenzione di rivelare il nome. A differenza della Fratellanza Oscura, questa non ha bisogno di nascondersi, dato che gli omicidi a scopo di vendetta sono una pratica comune fra gli Elfi Oscuri, per sistemare "faccende" e restaurare l'onore perduto del clan. È infatti tradizione secolare che ogni secondo nato delle case nobiliari entri a far parte di questa gilda. Ma i Vendicatori (cos vengono chiamati i membri) sono molto di più che volgari tagliagole: noi siamo killer scelti, addestrati nelle armi, nella magia e nel muoversi silenziosamente, e ci fregiamo di essere perfino degli studiosi... Ma, ahimè, sto parlando come se fossi ancora uno di loro, mentre non lo sono più. Non rivelerò qui esattamente cosa studiavamo, dato che mi sento legato ai giuramenti che ho pronunciato. Dirò solo che ognuno di noi doveva specializzarsi in un'arma, una scuola di magia ed una particolare branca della conoscenza.

Avevo raggiunto l'età richiesta per sottoporsi al "rito di passaggio" per diventare adulti ed essere considerati membri a pieno titolo dei Vendicatori... Non parlerò neanche della missione che dovetti portare a termine (forse un giorno mi deciderò a tradirli del tutto); sappiate solamente che mia condusse ai confini stessi di Morrowind. Là, prima che potessi entrare nella caverna che mi era stato comandato di esplorare, mi accorsi che c'era qualcuno riverso sulle rocce più in basso. Probabilmente si trattava di un umano, dato che indossava un'uniforme imperiale (ed infatti la maggior parte delle guardie imperiali sono umane), e per questo motivo non avrei dovuto assolutamente entrare in contatto con lui. Non so quali sentimenti quell'orecchie corte suscitò in me, ma non riuscivo a sopportare di lasciarlo lì a morire senza fare nulla. Mi avvicinai cautamente e notai che era gravemente ferito ed aveva lividi su tutto il corpo, così immaginai che fosse caduto da una grande altezza. La mia supposizione venne confermata quando vidi la spilla appuntata sul suo petto: era a forma di testa di roc: l'uomo era un membro della Cavalleria Alata! Ma dove poteva essere la sua cavalcatura? I roc non abbandonano volontariamente i loro padroni.

Ma il tempo stava volando via, così decisi di portarlo oltre i confini di Morrowind (non distavano più di un paio di miglia) e di lasciarlo lì. Me lo caricai sulle spalle e, in meno di un'ora, raggiunsi il passo montano che demarcava la frontiera fra le Province Imperiali e la patria degli Elfi Oscuri. Trovai un punto in cui posarlo a terra, poi mi guardai attorno alla ricerca di alcune foglie e rami secchi per accendere un fuoco: in questo modo speravo che qualcuno l'avrebbe notato, ed io sarei potuto andare per la mia strada al più presto. Quando ebbi raggiunto l'altro lato del valico, riuscii a vedere chiaramente un filo di fumo che si innalzava: adesso sarebbe stato il turno degli umani, dato che io avevo fatto tutto il possibile senza mettere me stesso in pericolo (o così credevo allora).

Mi affrettai a tornare alla mia missione e riuscii a completarla in meno tempo di quanto mi aspettassi (sia io che i miei superiori), così mi diressi spavaldamente verso la gilda. Avevo a malapena varcato la soglia quando sentii delle forti mani afferrarmi: quattro miei compagni Vendicatori mi legarono stretto e mi imbavagliarono, poi mi trascinarono fino alla sala del concilio.

Come potevo essere stato così stupido? Avrei dovuto immaginare che occhi attenti mi stessero sorvegliando tutto il tempo, spiando ogni mia singola mossa ed azione! Sapevo già che il mio destino era segnato, così cominciai a pregare silenziosamente gli dei perché mi concedessero una morte veloce.

Nel mezzo della sala del concilio, di fronte all'altare rituale, stava la Signora della gilda. Si girò verso di me, il suo volto nascosto nell'ombra di un nero cappuccio. I Vendicatori mi costrinsero ad inginocchiarmi mentre ella cominciava a parlare: "Darak della casa di Tenkor, tu sei stato trovato colpevole non solo di mischiarti a della feccia umana, ma anche di aver aiutato uno di loro, andando contro le regole stesse del nostro ordine. Tu hai deviato dagli insegnamenti di questa gilda, l'orgoglio di tutte le nazioni degli Elfi Oscuri, e per questa ragione il tuo fato sarà..." "Andiamo! Cosa stai aspettando?" pensai, poiché ella stava "ritardando" la sentenza, probabilmente assaporando la mia paura "La morte per me sarà dolce, se solo sarà veloce e senza altra vergogna!"

La sua voce melodiosa echeggiò nuovamente nella sala: "L'esilio!" Non riuscivo a credere alle mie stessa orecchie! Esiliato! bandito dalla mia patria per il resto della vita! Dormendo ogni notte sotto un cielo che non sarebbe stato il mio, mangiando pane non fatto nei forni degli Elfi Oscuri, parlando un linguaggio alieno, così diverso dalla mia lingua madre, e tutto questo sarebbe andato avanti... per sempre!

Ma questi foschi pensieri avevano distratto la mia attenzione dalla Signora della gilda: prima che avessi il tempo di rendermi conto di ciò che stava accadendo, ella si voltò verso l'altare e raccolse qualcosa, poi si avvicinò e per un breve ma infinito istante provai un insopportabile dolore nella testa ed urlai. Quando i miei occhi si aprirono potevo avvertire un peso sulla mia fronte. La donna parlò di nuovo: "Darak, questo cerchietto che stai ora indossando, nulla al mondo, né armi né magia, lo potrà rimuovere contro la mia stessa volontà: è il marchio della tua infamia. Se mai tu dovessi essere ancora sorpreso entro i confini di Morrowind, ogni Elfo Oscuro che lo vedrà saprà che la tua testa deve essere staccata dal corpo... all'istante!"

Detto questo, si allontanò. Io fui trascinato via e bendato, poi mi caricarono su u carretto. Non potrei dire quanto tempo passò. Ciò che ricordo poi è che mi tirarono letteralmente giù dal carro ed uno di loro smontò per tagliare la corda che mi legava le mani. Prima che potessi togliermi la benda dagli occhi, erano spariti...

Ero da solo, con nient'altro che i vestiti che indossavo, ma nelle vicinanze trovai un coltello che probabilmente era stato lasciato là per me (ero stato condannato all'esilio, non a morte)... Non avevo più il libro degli incantesimi, però, e c'era quel maledetto cerchietto! La luce della luna splendeva sui picchi montani innevati, facendoli apparire più pallidi di quanto fossero in realtà. Rimasi lì immobile, in ascolto. Potevo udire il gorgoglio di un torrente molto vicino. Mi affrettai in quella direzione e vidi l'acqua scintillante che fluiva rapidamente verso valle, ma c'era una polla in cui stava quasi immobile. Mi avvicinai con cautela e riuscii a scorgere il mio riflesso: intorno alle tempie portavo una catenella di puro argento. Da essa una piccolo teschio dello stesso materiale pendeva proprio davanti alla mia fronte. Impaurito, cercai di rimuoverla con tutte le mie forze ma, inutile a dirsi, ogni sforzo fu vano. Mi sedetti su una roccia e piansi lacrime amare...

Così cominciò un periodo della mia vita che preferirei dimenticare. Da principio tentai di farmi reclutare come mercenario, ma nessuno voleva avere a che fare con un Elfo Oscuro, e ovviamente le comunità della mio popolo che vivevano nelle Province Imperiali non avrebbero mai aiutato un rinnegato quale io ero. Non ave, vo altri modi per guadagnarmi da vivere se non derubare la povera gente aggredendola nei vicoli bui o borseggiandola. Alle volte dovevo anche chiedere l'elemosina, quando temevo che le guardie fossero troppo vicine.

Una sera ero nella cittadina di Belengost. Ero fiducioso che non ci fossero guardie all'erta così tentai di derubare un vecchio. Sfortunatamente, egli si accorse della mia mano nella sua tasca e iniziò a gridare "Guardie!!!". Pensavo di avere abbastanza tempo per scappare quando, proprio dietro di me, comparvero due armigeri. Cominciai a correre, ma ero molto lento dato che era dal giorno prima che non mangiavo. Poi vidi una taverna con delle stalle: se avessi potuto rubare un cavallo, sarebbe stata il mio biglietto per la libertà. Entrai di corsa e stavo per montare su un destriero quando sentii la punta di una spada premermi sul collo.

"Girati... lentamente." Obbedii all'ordine. Il sorriso di vittoria dell'ufficiale si mutò in un'espressione di sorpresa. per alcuni secondi non riuscì a dire una parola, poi mormorò: "Non può essere... Tu! Tu sei quello stesso Elfo Oscuro che mi ha salvato la vita!" A queste parole anch'io lo riconobbi. L'umano la cui vita mi era costata l'esilio. Mi salutò come se avesse ritrovato un amico perso da lungo tempo, poi mi invitò a cenare con lui. Avrei preferito andarmene per la mia strada, felice di aver salvato la pelle, ma il mio stomaco non condivideva la stessa opinione. Accettai l'invito con riconoscenza e ci spostammo alla taverna adiacente. Mi accorsi che camminava zoppicando vistosamente, ed infatti, mi spiegò mentre stavamo mangiando, era rimasto storpio da allora. Mi disse che il suo roc non era stato più ritrovato e che era diventato una guardia cittadina poiché la sua infermità non gli permetteva più di cavalcarli. Ma, cosa più importante, mi rivelò di essere uno dei nipoti dell'Imperatore, e, per avergli salvato la vita, io avrei potuto avere qualsiasi cosa avessi voluto. Gli spiegai la mia situazione e gli chiesi di poter incontrare suo zio. Egli fu piuttosto stupito dalla mia richiesta, ma  prontamente gli assicurai che volevo soltanto compiere delle missioni per suo conto, e le arti in cui ero stato addestrato durante la mia adolescenza gli sarebbero sicuramente state preziose.

Egli ne convenne e predispose un incontro nel giro di sole due settimane. Evidentemente entrai nelle grazie dell'Imperatore, dato che egli cominciò ad affidarmi compiti sempre più importanti, dapprima per mettere alla prova la mia fedeltà, poi per occuparmi di questioni rilevanti per lo stesso Impero. Un giorno ricevetti un messaggio dal Cancelliere, il braccio destro dell'Imperatore: mi si chiedeva di partecipare ad un incontro privato, per essere informato su una missione segreta ed urgente che richiedeva la mia spada, la mia magia ed anche la mia discrezione. Poi... beh, sapete tutti quello che successe poi, vero?

Alla storia successiva...